Eritrea: Isaias e basta
Di Raffaello Zordan - marzo 2005
Tutto passa dalle mani del presidente Afwerki e di pochi fidati uomini del partito: assetti istituzionali e militari, scelte politiche, programmi economici. Chi dissente, salta. L’opposizione eritrea all’estero, Amnesty International e il parlamento europeo denunciano gravi abusi. Ma nessuno ascolta. Soprattutto la Farnesina.
Ad Asmara manca la benzina per gli autobus, l’acqua è razionata, non c’è latte, la farina bianca è un lusso. L’università è chiusa da mesi. Nel 2004, un’inflazione al 20% ha falcidiato il potere d’acquisto delle famiglie. Secondo una nota della missione economica francese in Africa orientale, quest’anno metà della popolazione, 2 milioni di persone, avrà bisogno di un aiuto alimentare.
Nonostante l’accordo di pace di cinque anni fa, che ha posto fine a due anni di guerra con l’Etiopia (1998-2000, 80mila morti), la questione della demarcazione dei confini è tutt’altro che risolta. Il regime di Afwerki, il presidente dell’indipendenza del 1993, dei sogni di prosperità e democrazia, è preda di una deriva autoritaria che non ammette dissensi. E ciò che è accaduto lo scorso 4 novembre nel centro di detenzione di Adi Abeito, nei pressi di Asmara – stroncato nel sangue un tentativo di fuga da parte di giovani, arrestati perché sospettati di voler sottrarsi alla leva militare obbligatoria – è solo l’ultimo di una lunga serie di atti repressivi.
Il quadro è quello che è, eppure in Italia circola un punto di vista singolare sulla situazione dell’Eritrea. Quello dell’Ice, l’Istituto italiano per il commercio estero che fa capo alla Farnesina e che contribuisce a orientare le scelte delle imprese italiane sui mercati.
Nel rapporto del primo semestre 2004, pur accennando
a un «rischio paese dovuto principalmente alla situazione di tensione
con l’Etiopia» e «alla costante mobilitazione militare,
con il reclutamento di ampia parte della popolazione attiva, di entrambi
i sessi, che genera una carenza di offerta di lavoro», l’Ice
arriva a scrivere: «L’Eritrea offre molteplici attrattive:
la manodopera è laboriosa, non si registrano episodi eclatanti
di corruzione, la posizione geografica offre al paese la possibilità
di porsi quale porta privilegiata di accesso all’Africa. Il clima
di tolleranza e convivenza pacifica fra culture islamiche e cristiane
rende il paese sostanzialmente stabile. I settori turistico, ittico,
estrattivo, agricolo e florovivaistico presentano potenzialità
di sviluppo anche a breve termine».
Adi Abeito, un massacro
Un altro rapporto del 2004, quello di Amnesty International: «Torture,
detenzioni arbitrarie e sparizioni di presunti oppositori politici sono
sempre più diffuse. Chi critica il governo viene messo a tacere.
Le autorità respingono qualsiasi tentativo di monitoraggio e
confronto internazionale in tema di diritti umani e non tengono conto
dei principi dello stato di diritto. Agli organismi non governativi
locali per i diritti umani non è consentito di operare, a quelli
stranieri è vietato l’accesso. Dieci giornalisti indipendenti
continuano a essere detenuti dal settembre 2001».
Quell’anno, e Nigrizia ne diede puntualmente conto (11/01, 7),
furono arrestati undici dissidenti (ex ministri e uomini di spicco del
partito al potere), che chiedevano riforme, e chiusi i giornali indipendenti.
Una lettera di protesta costò l’espulsione ad Antonio Bandini,
portavoce dell’Unione europea in Eritrea, e il ritiro di tutti
i diplomatici dell’Ue da Asmara.
Ancora Amnesty: «Il Fronte popolare per la democrazia e la giustizia
(Fpdj), al potere, è rimasto l’unico partito politico autorizzato.
Il governo non ha ancora annunciato alcuna misura concreta per la realizzazione
di elezioni multipartitiche, come previsto dalla costituzione del 1997».
A proposito di Ue, il parlamento di Strasburgo ha approvato, lo scorso
18 novembre, una risoluzione nella quale, facendo propria la denuncia
della rete dell’opposizione eritrea in Europa, stigmatizza i fatti
di Adi Abeito «che hanno provocato almeno 12 morti». Nel
ricordare che il rispetto delle libertà fondamentali costituisce
un elemento essenziale dell’accordo di partenariato di Cotonou
(che lega l’Ue a 77 paesi di Africa, Asia e America Latina), si
dice «profondamente preoccupato per il continuo deterioramento
della situazione dei diritti umani» e chiede alle autorità
eritree «un’indagine indipendente sui fatti di Adi Abeito».
Su questi fatti, l’Associazione immigrati eritrei in Italia fornisce
un resoconto più grave. Dice che è in atto «un’ennesima
vasta campagna di rastrellamenti e di reclutamento forzato di giovani
studenti e lavoratori» e che il bilancio è di «oltre
20 morti e circa un centinaio di feriti gravi, ricoverati nell’ospedale
Halibet di Asmara».
Malgrado queste evidenze, i rapporti di cooperazione economica tra Ue
e Asmara non si sono interrotti. Anzi, nel novembre del 2002 la Commissione
europea e l’Eritrea hanno siglato un programma di cooperazione
quinquennale, con una dotazione finanziaria di 96,8 milioni di euro
destinati «alla ricostruzione delle infrastrutture toccate dalla
guerra e a progetti nei settori della sicurezza alimentare, dei trasporti
e dell’educazione». La Commissione sottolinea, però,
che «l’attuazione concreta del programma è subordinata
alla ripresa di un dialogo politico» tra le istituzioni dell’Ue
e il regime di Afwerki.
Opposizione divisa
E intanto Isaias Afwerki, 60 anni, tira dritto per la sua strada. Gli
basta controllare strettamente il partito in collaborazione con alcuni
alti gradi militari, e, attraverso il partito, tutto quello che si muove,
anche economicamente, nel paese. E se non ha più il consenso
di un tempo (è con lui non più del 30% dell’opinione
pubblica) poco male: sa che l’opposizione politica, una quindicina
di gruppi, è frastagliata e divisa, che non c’è
una vera e propria società civile organizzata, e che anche le
chiese cristiane (copta, protestante e cattolica), tengono un basso
profilo socio-politico, dopo che è stato loro fatto capire, con
metodi sbrigativi, di non alzare troppo la testa.
Afwerki sa soprattutto che, dalle Torri Gemelle in qua, Washington ha
stabilito che la lotta al terrorismo internazionale è una priorità
assoluta. Dopo l’attacco Usa all’Iraq, nel marzo 2003, Asmara
(come anche Addis Abeba) si è schierata con i marine e ha mantenuto
questo profilo fino a oggi. Dunque, ha accumulato un credito e intende
giovarsene, tanto più che l’amministrazione Bush ha precisi
interessi geostrategici nel Corno d’Africa (in funzione antiterrorismo
e in termini di approvvigionamento di risorse petrolifere).
Nuovi scenari potranno aprirsi quest’anno. Innanzitutto per la
partita delle frontiere: si dovrà trovare una via d’uscita
allo stallo, aggravatosi dopo che Afwerki ha rifiutato, lo scorso novembre,
la proposta del primo ministro etiopico Meles Zenawi che chiedeva «alcuni
aggiustamenti» al tracciato del confine definito nel 2002 da una
commissione indipendente (che Addis Abeba aveva respinto nel 2003).
La tensione c’è, gli eserciti sono schierati, la missione
Onu fa da cuscinetto e tenta la mediazione.
Poi ci sono le incognite legate all’attuazione dell’accordo
di pace in Sudan, firmato lo scorso 9 gennaio. Proprio pochi giorni
prima della firma, il 27 dicembre, i maggiori leader dell’opposizione
eritrea hanno incontrato a Khartoum il presidente sudanese Omar el-Bashir
e il premier etiopico Zenawi, che appoggiano i gruppi di opposizione
ad Asmara, sostenendo che non ci può essere una vera pace nella
regione senza una durevole pace interna in Eritrea.
All’incontro erano presenti, tra gli altri, Herui Bairu e Tahir
Shengeb, leader dell’Alleanza nazionale eritrea (Ena, la maggiore
coalizione dell’opposizione, che comprende anche il Fronte di
liberazione eritreo e le formazioni islamiche), Mesfin Hagos e Mohamed
Nur Hamed, entrambi del Partito democratico eritreo. Quest’ultima
formazione è contraria alla lotta armata e punta a un dialogo
che coinvolga tutti gli attori, compreso l’Fpdj.
Affari italiani
Ma torniamo alle connessioni tra Italia ed Eritrea. L’Ice suggerisce:
«È strategicamente fondato essere presenti in Eritrea e
instaurare contatti e rapporti economici fin da oggi, in modo da essere
preparati a intervenire con forza non appena la congiuntura si rivelerà
maggiormente favorevole». In linea con la visione dell’Ice
sembrano essere l’Italcantieri Spa di Paolo Berlusconi e il gruppo
industriale tessile Zambaiti di Bergamo.
Italcantieri è impegnata «nella costruzione di circa mille
edifici residenziali», informa l’Ice. Questo intervento,
nell’area di Massaua, è stato oggetto di un’interrogazione,
il 10 marzo 2004, di tre consiglieri regionali lombardi di Rifondazione,
Ds e Verdi. Hanno chiesto alla giunta di Roberto Formigoni se «tra
gli interventi promossi dalla Regione Lombardia in Eritrea rientrano
anche quelli di Italcantieri» e se, comunque, «considerata
la natura dittatoriale del regime» non sia il caso di «interrompere
qualsiasi rapporto».
La risposta: «La Regione Lombardia non ha sostenuto alcuna azione
di supporto a presunti interventi edilizi di Italcantieri né
di altre imprese private». Mentre per quel che riguarda le relazioni
con l’Eritrea (che sono intense, in particolare con la regione
di Maekel, e sulle quali si spende non poco il vice presidente del Consiglio
regionale Pier Gianni Prosperini di An), «la Regione ha operato
in stretto accordo con il governo italiano e in particolare con il ministero
degli esteri».
L’architetto Alessio Calda, di Italacantieri, ammette che l’intervento
c’è, ma non si sbottona più di tanto: «Stiamo
esplorando la situazione, stiamo discutendo; al momento, non abbiamo
nulla di concreto in mano».
Per ciò che riguarda il gruppo Zambaiti, c’è da
segnalare che ha acquistato, nel 2004, l’Asmara Textile Factory,
azienda pubblica, già Cotonificio Barattolo, fondato negli anni
’50 da Roberto Barattolo e nazionalizzato nel 1975. Ora il cotonificio
si chiama ZaEr (Zambaiti Eritrea), ha 120 dipendenti, le prime assunzioni
sono state fatte a settembre, e produce camicie per i mercati europeo
e americano.
Secondo l’Ice, «una volta rinnovati i macchinari, c’è
l’obiettivo di avviare una produzione capace di impiegare 2.600
persone». Giancarlo Zambaiti ha condotto le trattative direttamente
con Isaias Afwerki: «Questo paese mi piace, lo conosco dal 1992,
e il mio impegno è a largo raggio. Punto a dare lavoro direttamente
a 2.000 persone e, indirettamente, tra le 3.000 e le 10.000. Questo,
perché voglio riattivare la piantagione di cotone di Alighider,
così potremo lavorare cotone eritreo, invece d’importarlo.
A questo riguardo, sto coinvolgendo vari soggetti, tra cui la cooperazione
italiana». Fargli notare che i soldi della cooperazione internazionale
sono sempre meno non serve. E guai a toccargli Afwerki: «Lo considero
una brava persona, un presidente che lavora per il suo paese. E, comunque,
questo governo è il massimo possibile oggi».
Anche volendo dare il massimo credito all’entusiasmo dell’imprenditore
Zambaiti, alle mosse dell’Italcantieri e all’attivismo della
Regione Lombardia e della Farnesina, rimangono tanti dubbi. Uno su tutti.
Visto che il partito al potere è fortemente accentrato ed è
il controllore di sé stesso, non c’è il rischio
di scarsa trasparenza e che quote di risorse siano stornate per altri
fini?