Dei bambini non si sa niente
Dei bambini non si sa niente
di Andrea Semplici - Articolo apparso nel maggio 2004 su Altraeconomia
Quanti sono i ragazzini che lavorano? E quanto se ne sa di questo fenomeno? Chi ha ragione? Chi ha torto? Proibire il lavoro minorile oppure cercare di mettere delle regole? Viaggio in un mondo dove si confondono retoriche, buone intenzioni, dure realtà, opportunismi, diplomazie di grandi organismi internazionali.
Confesso che non ci capisco niente. Nemmeno sulle cifre. Mai viste
statistiche così contraddittorie. I bambini lavoratori in
Italia sono centomila? Lo sostiene un’indagine Cgil del 1996.
Sono fra 360 e 430mila? Sono due indagini, sempre Cgil compiute
nel 2000 e nel 2004. Sono 900mila? Inchiesta nella Regione Lazio
realizzata nel 1996. Oppure sono 144mila come scrive l’Istat,
l’Istituto nazionale di statistica, nel 2000? Che contava
anche i ragazzini "sfruttati", cioè quelli non
pagati, costretti a lavori pericolosi, senza rispetto di nessuna
regola: sarebbero 31.500. Precisazione: qui si sta parlando di ragazzi
che hanno meno di 14, 15 anni. Sociologi e ricercatori mi avvertono:
"Non credere a questi dati. Sono stati usati metodi approssimativi.
A campione, con interviste. In realtà di questo fenomeno
non se ne sa quasi niente. E, quel che è peggio, a queste
stime sfuggono proprio i bambini più a rischio come i ragazzini
immigrati".
Non ho molti conforti nemmeno se vado a leggere statistiche mondiali.
L’Organizzazione internazionale del lavoro conteggia 352 milioni
di minori, fra i 5 e i 14 anni, come "economicamente attivi"
(definizione capolavoro, direi). 246 milioni di questi, secondo
l’organismo internazionale, sono "sfruttati". Sono,
cioè, privi di un futuro che non sia schiavitù o qualcosa
del genere. Poi indago su cosa voglia dire "lavoro" e,
nelle definizioni delle varie convenzioni, ci trovo dentro ("come
forme pessime") storie di schiavismo, prostituzione, arruolamenti
forzati come soldati. Giustamente: realtà da cancellare dalla
faccia della Terra. Nessun disaccordo su questo. Ma perché
chiamare "lavoro" attività criminali? E poi come
riesco a distinguere fra il lavoro domestico e il lavoro pesante
in miniera? Posso paragonare i bambini-operai, quelli che cuciono
palloni da calcio in Pakistan o quelli che vendono tortillas nelle
piazze del Messico con le bambine-modelle che sfilano sulle passerelle
di moda a Pitti o con i giovanissimi calciatori che si allenano
a tempo pieno mandando a rotoli scuola e rapporti familiari? Sono
tutti sullo stesso piano? Insomma, ha senso l’indignazione
dei più quando, genericamente, leggono, con superficialità,
che "milioni di bambini lavorano"? è legittima
o no la domanda ingenua: "Ma questi bambini possono o non possono
lavorare?". Sostenere che i bambini non devono lavorare e fermarsi
lì non è una semplice consolazione buona per noi occidentali
che ci rifiutiamo di vedere la realtà? O, al rovescio, è
un impegno sacrosanto contro la violazione del diritto alla scuola
o al gioco? Troppi interrogativi: davvero la sensazione è
che gli adulti (noi adulti) dei bambini non si sappia un bel niente.
Questioni da porsi in questa primavera: anche perché movimenti contrapposti si guarderanno (mica con tanta simpatia) dai fortilizi di due diversi summit mondiali. A metà maggio, a Firenze, la Global March, movimento internazionale contro il lavoro minorile, terrà il suo congresso mondiale. A Berlino, invece, si è chiuso, ai primi del mese, il lungo appuntamento dei Nats, il movimento, altrettanto internazionale (e con ventisei anni di storia alle spalle), dei bambini lavoratori. Ragazzi, sociologi, politici, sindacalisti, preti, cooperanti vari, esperti di educazione si confrontano da due città diverse come da due arene rivali: incalzano governi e organismi internazionali, ma, allo stesso tempo, cercano consensi, avalli politici, finanziamenti. E appare quasi impossibile trovare un accordo fra posizioni che appaiono inconciliabili. Proviamo a riassumere. La Global March è abolizionista: il lavoro dei ragazzini sotto i 14 anni (limite legale previsto da convenzioni internazionali nei Paesi poveri) deve essere eliminato, sradicato. Il tempo dei bambini è per la scuola e per il gioco. "Ci possono essere eccezioni", chiarisce Maria Rosa Cutillo di Mani Tese, organismo che coordina Global March in Europa. "Ma rimane ben saldo il principio che un ragazzo così giovane non può lavorare a tempo pieno e deve essere garantita l’istruzione di base". Per Mani Tese, combattere il lavoro minorile è un tassello indispensabile della lotta alla povertà. "La miseria è legata a doppio filo all’analfabetismo, all’assenza di una formazione di base", spiega ancora Maria Rosa Cutillo. Sopra i 14 anni, Global March riconosce che un bambino può lavorare. "Certo, non deve essere sfruttato, non deve essere un lavoro a tempo pieno. E lo sviluppo fisico e psicologico del ragazzo deve essere garantito", dicono a Mani Tese.
"Il Sud del mondo è diverso dalla nostra
realtà occidentale", osserva Aldo Prestipino, responsabile
del movimento Nats in Italia. "E non esiste un mondo perfetto,
il lavoro dei bambini esiste, non si può far finta di niente
e non si possono dare risposte paternaliste e astratte. Provate
a chiedere ai bambini di Lima o di Delhi se vogliono lavorare o
meno: vi risponderanno che è un mezzo per sopravvivere. Vi
può essere dignità, capacità di crescere nel
lavoro: non può essere solo demonizzato perché a noi
occidentali fa rabbrividire". Come dire: l’idea semplicemente
proibizionista del lavoro minorile è occidentale, eurocentrica.
Non è un caso che il movimento dei Nats nasca nelle periferie
di Lima da ragazzini che chiedono di poter lavorare e, allo stesso
tempo, pretendono tutele e giustizia per quel loro lavoro. Secca
la replica di Maria Rosa Cutillo: "Non è vero che le
proposte di Global March nascano in Europa. Il movimento è
sorto in India, lì è cresciuta la coscienza dei pericoli
del lavoro minorile". " È vero, sono andati in
India, ma hanno visto solo quello che volevano vedere", ribattono
ai Nats. Inutile cercare di metterli d’accordo.
Per i Nats il lavoro minorile può essere "valorizzato".
Ti spiegano: in attesa del mondo dell’utopia, cerchiamo di
migliorare l’esistente. "E sia ben chiaro: ci sono limiti
che non possono essere scavalcati e regole che devono essere rispettate",
dice Prestipino, "il lavoro dei bambini, come quello degli
adulti, non deve essere sfruttato, non può essere al di sopra
delle possibilità fisiche e psicologiche e deve essere pagato
correttamente". E, per i Nats, non possono essere fissati in
astratto paletti di età, né di tipo di lavoro. "Cucire
palloni o tessere tappeti", spiegano, "non sono attività
negative in sé. Possono diventarlo se il luogo in cui sono
compiute è malsano, se la paga è inadeguata, se l’orario
di lavoro è eccessivo". "Non ha senso porre dei
limiti o regole astratte in un Paese povero", spiega Maria
Teresa Tagliaventi, sociologa dell’educazione a Bologna. "Ogni
situazione va studiata nel suo contesto".
Il ragazzino rom che vende fiori alla sera nei ristoranti cosa sta
facendo? Sta lavorando? è sfruttato? A Bologna, Lina, bambina
zingara di 14 anni, spiega con candore: "Al campo non ho nessuna
libertà. La mia famiglia mi controlla. Quando vendo fiori
esco fuori, sono per strada, incontro ‘stranieri’, vedo
il mondo. è il solo momento della giornata che mi appartiene".
Cosa possiamo risponderle? Con i suoi fratelli lavora dalle otto
e trenta a mezzanotte, poi se nessuno viene a riprenderli prendono
un taxi tutti assieme per tornare alla loro baracca. E che dire
di Lin, bambino cinese di nove anni: la polizia ha fatto irruzione
nel capannone di Brozzi, periferia di Firenze, dove passava le notti
a incollare tracolle a borse in pelle. I giudici, due mesi fa, hanno
messo sotto sequestro 17 imprese della Chinatown fiorentina: autosfruttamento
familiare massiccio e nemmeno avvertito come tale. Lin ha spiegato:
"Va bene, lavoro fino alle due del mattino, ma la domenica
pomeriggio faccio festa. E la mattina a scuola ci vado". Solo
che si addormentava sui banchi quasi ogni giorno. Don Giovanni Momigli,
prete di frontiera, da anni lavora con i cinesi in questi sobborghi
del capoluogo toscano: "Il laboratorio è la vita di
queste persone. I bambini nascono lì, giocano nei capannoni,
escono da scuola e vanno dai genitori chini sulle borse. Lavorano
anche loro. Tutti. E lì dormono. Sono sfruttati dalle famiglie,
ma è la normalità". A voi giudicare dove sta
di casa lo sfruttamento e il limite del lavoro minorile. Ancor più
difficile giudicare (e sapere cosa fare senza compiere disastri)
quel che avviene nelle baraccopoli di Nairobi o nelle favelas di
Bahia, nelle catapecchie da orrore che accerchiano le città
del capitalismo cinese o negli slum di Mumbay. Attenti a cercare
risposte nelle stanze delle decisioni dei grandi organismi internazionali.
Questi sono terreni minati e davanti ai giornalisti si usano solo
le parole di una diplomazia che non vuole prendere posizione. "Proteggere
i bambini dallo sfruttamento economico, compreso il lavoro, è
una priorità dell’Unicef", dice Marta Dos Santos
Pais, direttrice dell’Innocenti Research Center, il centro
studi mondiale dell’Unicef. Qualcosa in più spiega
Alessandra Maggi, presidente dell’Istituto degli Innocenti
a Firenze, la più antica istituzione che si occupa di infanzia
al mondo: "Bisogna distinguere il lavoro minorile dallo sfruttamento
dei ragazzi. Non è possibile considerare allo stesso modo
situazioni che annientano la personalità, la dignità
e la salute del bambino e quelle che possono invece contribuire
positivamente all’economia della famiglia e alla sua integrazione
sociale senza cancellare il diritto all’istruzione, al gioco,
alla propria libertà". Facile a dirsi. E a farsi? Momigli,
nella sua parrocchia di San Donnino, ha una speranza: "Le occasioni
di incontro fra cinesi e italiani possono aiutare davvero a rompere
tradizioni consolidate e far cambiare anche scala di valori".
Un altro Lin, 14 anni, ragazzino che, dopo la scuola e i compiti,
lava i piatti nel ristorante di famiglia fino a tardi la notte,
sbuffa: "Sono stanco. I miei amici vengono qui a mangiare e
a divertirsi e io non faccio altro che lavorare. Non sarà
così da grande". Che sia ora che chi si occupa di bambini
possa trovare intenti e obiettivi comuni per battersi per un futuro
migliore per milioni di ragazzini? Perché ora rimane addosso
una strana sensazione: ci si letica e ci si detesta perché
bisogna pur dividersi le risorse pubbliche e private (i soldi delle
città, delle Regioni, degli Stati, dei sindacati, dell’Unicef)
destinate alle politiche per l’infanzia e l’adolescenza.
A proposito: del primo Lin so poco, ma il secondo va davvero bene
a scuola. Nonostante il sonno dei piatti lavati fino a tardi.
Global March ha organizzato a Firenze il Congresso mondiale dei ragazzi sul lavoro minorile. Dal 1 al 13 maggio. Sito web: www.globalmarch.it