Dallo sfruttamento alla promozione
IL GIORNALE DI VICENZA
Al “Primolunedìdelmese” l’associazione Asoc di Vicenza ha ospitato l’esperienza di Italianats, movimento che tutela i baby lavoratori nel mondo. «Questi bambini vivono in paesi poverissimi e per loro il lavoro si trasforma in un diritto da tutelare»: questo è il vero obiettivo da garantire.Anyela, 13 anni, felice di lavorare.
«Ho
iniziato da piccola: facevo la domestica. Ma diventerò dirigente».
Di Silvia Maria Dubois
«Da grande voglio fare l'amministratrice
d'impresa, ci riuscirò riunendo le competenze lavorative
a quelle teoriche che sto imparando a scuola - racconta la tredicenne
Anyela Yazmin Castaneda Rueda, ridendo mentre il fotografo non riesce
a tenerla ferma per lo scatto.
Ma di competenze, lei, ne ha già a sufficienza: «Ho
iniziato a lavorare a 6 anni, prima come domestica assieme alla
mamma, e poi facendo la venditrice ambulante di caramelle e bambole
di ceramica - prosegue Anyela che all'improvviso diventa seria dentro
un'immagine del passato - lavoravo di notte perché la polizia
mi inseguiva, c'è la repressione da noi, sai? I bambini di
strada guadagnano poco e si trovano sempre a fuggire da qualcosa.
Ora io ho un lavoro in regola, ma non smetto di frequentare i bambini
che hanno voluto restare in strada perché loro saranno sempre
miei amici».
È lei, la bambina di Bogotà, che ha consegnato la
sua esperienza alla Vicenza serale del “Primolunedìdelmese”,
questa settimana dedicato al tema del lavoro minorile. Ora Anyela
racconta di essere felice: ha smesso di fare l’ambulante perché
da due anni è accolta dall’associazione Pequeno Trabajador
che le permette di studiare e di lavorare nel campo della cartoleria,
guadagnando per sé e per la sua famiglia. Al sabato riesce
perfino a giocare, quasi un sogno. Questa è la Colombia dei
minori riscattati, questo è il paese poveraccio che dimostra
all'Europa di volersi rialzare da solo.
«Le testimonianze sono importanti per divulgare verità
che noi non conosciamo - spiega Cristina Mattiuzzo, referente di
Asoc (associazione solidarietà e cooperazione di Vicenza),
collegata alla nazionale Italianats (movimento che tutela i baby
lavoratori nel mondo) che ha organizzato l'accoglienza di Anyela
e Alejandro, i 2 ospiti colombiani presenti all'incontro - i poveri
non vanno solo aiutati, se ci si ferma ad ascoltarli si capisce
che ci possono insegnare formidabili intuizioni di sopravvivenza
e di riscatto sociale. È la teoria della reciprocità,
no?».
Una reciprocità che non deve evaporare nelle distanze geografiche
o nell'errore di esportare i perimetri mentali di casa propria.
«Questi bambini vivono in paesi poverissimi e per loro il
lavoro si trasforma in un diritto da tutelare - conclude la Mattiuzzo
- ci auguriamo che il dibattito internazionale si faccia sempre
più acceso e che aiuti in loco i progetti di difesa e di
promozione sociale». Nel frattempo i volontari di Bogotà
si danno da fare per salvare dalla strada centinaia di bambini.
Nel frattempo, Bogotà ha raccontato la sua storia a Vicenza.
Grazie all’avvocato Alejandro i piccoli oggi si emancipano
Una
felpa rosa shocking, una sciarpa gialla ed un paio di jeans. A vederlo
così sembrerebbe uno dei ballerini del vecchio serial “Saranno
famosi”, eppure Alejandro Martinez Rodriguez è uno
stimatissimo avvocato colombiano. Il suo ruolo di educatore all'interno
dell’associazione Pequeno Trabajador (il piccolo lavoratore)
di Bogotà, ormai è insostituibile. Perché lui
la sua strada l’ha scelta con decisione molti anni fa: stare
dalla parte dei bambini. Sempre e comunque.
Di cosa si occupa la vostra associazione?
«La Pequeno Trabajador è nata 17 anni fa e raccoglie
bambini ed adolescenti colombiani per inserirli in un percorso di
emancipazione che tuteli i loro diritti, li liberi dalla condizione
di sfruttamento e di maltrattamento. Allo stato attuale ospitiamo
120 minori che possono continuare a lavorare e ad aiutare la propria
famiglia e, nello stesso tempo, studiare e coltivare la propria
conoscenza in fatto di politica e di cultura sociale. Il nostro
obiettivo, infatti, è quello di rendere protagonista il bambino,
affinché sappia gestire le proprie scelte ed il proprio futuro.
Dalle nostre parti il lavoro minorile non viene visto come negativo,
anzi è reclamato dagli stessi ragazzi per riuscire a contribuire
alle spese della propria famiglia. Il problema, dunque, è
garantire loro degli impieghi che non cadano nello sfruttamento,
che offrano delle condizioni igieniche sicure e con giusta retribuzione.
La nostra associazione offre già tutto questo al suo interno,
ma si batte per realizzalo all'esterno, nella società».
Quali resistenze deve affrontare la vostra associazione
per poter operare?
«Le istituzioni non ascoltano le esigenze della popolazione:
un esempio concreto è dato dai rigidissimi orari scolastici
che a Bogotà non permettono ai bambini di lavorare e di studiare
contemporaneamente. È ovvio, allora, che i ragazzi si trovano
obbligati a scegliere il lavoro. Poi c'è la resistenza delle
famiglie, ma questo è un atteggiamento da capire perché
purtroppo qui dobbiamo fare i conti con due realtà: la guerra
e la povertà. È comprensibile che in questo scenario
le famiglie si spacchino o non sappiano guardare oltre la sussistenza
quotidiana, investendo sulla formazione dei propri figli. Per questo
motivo sono ancora tanti i bambini di strada».
E gli spiragli positivi?
«Alcune scuole pubbliche si sono rese disponibili al dialogo.
Poi c'è tutta una rete di associazioni nazionali che ci sta
appoggiando, il mercato dell'equo solidale che si sta diffondendo
e un dibattito universitario che si sta sviluppando attorno al tema
del lavoro minorile. Credo proprio che la sensibilizzazione culturale
si rivelerà lo strumento di emancipazione più efficace
per noi».